Pubblico (genitoriale), tifosi, arbitri e giocatori: non è che qualcuno sia di troppo?

Quattro elementi che comunque li prendiate formano sempre un quadrato. Ma a breve termine questa figura potrebbe trasformarsi in un triangolo.

La Federazione Italiana Giuoco Calcio – settore giovanile – ha avviato un progetto per “Scuola e Calcio in Stadi Aperti”, il cui scopo è quello di promuovere lo spirito del gioco nei ragazzi/e e impostare un nuovo rapporto tra famiglie, calcio e stadi.
Direte voi “cosa c’è di nuovo”? Da noi, in Ticino, questa è una realtà assodata; anzi non se ne parla neppure tant’è naturale, esplicita, la questione.

Certo, ma alcune spiacevoli vicende occorse proprio di recente sui nostri campi ci portano a ritenere che forse abbiamo dato per scontati concetti che in realtà assodati non lo sono. Sia che si parli di calcio giovanile sia che lo si faccia per il settore attivi.

Accompagnando i nostri figli a vari tornei o amichevoli, in Italia, abbiamo preso coscienza del fatto che il pubblico, anche quello genitoriale, è relegato in tribuna. Ben distante dal perimetro di gioco e dai giocatori. Insomma, confinati e a debita distanza.

Ecco che allora due concetti si materializzano. Due approcci che sono diametralmente opposti: là lontano dal campo. Qui direttamente sul campo.
Ma attenzione: là si cerca di far avvicinare ciò che qui si potrebbe, in futuro, far allontanare. Paradossale? Non tanto!

Il principio (fatto proprio in Italia) è quello di riprendere un concetto di “rete e di integrazione”. Un sistema aperto che fa del campo uno spazio educativo e di sano confronto il cui obiettivo è quello di potenziare, rafforzare e quindi rinsaldare il legame tra le parti.
Si tende a istaurare un approccio che coinvolga maggiormente le famiglie degli sportivi anche al fine di attivarne il processo di crescita.

Da noi, diamo quasi per scontate queste cose. Non c’è nulla da abbattere. Né distanze (allenatori – genitori) da accorciare. Neppure esiste la questione di fungere (noi genitori) da traghettatori verso quello che psicologicamente è il “passaggio di ruolo di base sicura” tra famiglia e allenatori.
Ruolo che facilita la comprensione, da parte del genitore, di tutte quelle dinamiche sportive relative all’attività dei giovani sportivi. Un mezzo che ci aiuti nella comprensione di limiti, fatiche e anche gioie dei calciatori, nostri figli.

Non ce n’è bisogno (pensiamo) poiché il genitore “vive il campo” e lo fa spesso fino all’ultimo centimetro possibile di spazio consentito. Lasciando, sovente, lo staff tecnico a comunicare con i giocatori in luoghi confinati e (per fortuna) ancora sacri quali gli spogliatoi.

Ma attenzione, questa presenza “dovuta” rischia (vedasi casi isolati, per fortuna), di essere messa, forse, in parziale discussione. Complice, come scritto, un pubblico poco propenso ai valori sportivi e piuttosto orientato all’agonismo sfrenato, spesso unidirezionale: abbiamo ragione noi e non gli altri o l’arbitro.

In questa fase il pubblico, i genitori (che lo compongono per la stragrande maggioranza) si trasformano prendendo inconsapevolmente le vesti di tifosi accaniti. Questo soprattutto alla luce delle emozioni suscitate dalle partite, dai propri figli.

Nasce un senso di identificazione, di autoaffermazione, di libertà di esprimere pareri e giudizi. Insomma di mettere in atto il proprio “Io ideale” in un contesto che rende possibile ciò che nella “vita di tutti i giorni” pare impossibile. Tutto ciò, al di là dell’età dei giocatori, poiché questi comportamenti sono espressioni di forme comunicative molto primitive. Espressioni che vengono amplificate, successivamente, da un “Io di gruppo”. La somma di tanti individui che forma un insieme che si unisce fino a diventare, tifo accanito.

Vi sembra impossibile? Poco probabile? Non direi. Pensateci: un genitore, uno dei nostri che inveisce contro un fallo fatto da un giocatore di un’altra squadra. Oppure contro l’arbitro reo di aver fischiato un fuorigioco inesistente. E subito quelli vicini che annuisco, danno ragione e contribuisco ad animare situazioni non propriamente costruttive.

Non sono i fanatismi degli ultrà (che più che tifare per qualcuno lo fanno “contro” gli avversari). Ma sono comunque mossi da bisogni di affiliazione, di esibizione e spesso di comando proposti con scarso autocontrollo e con una buona dose di aggressività che quando degenera provoca, appunto, casi venuti alla luce recentemente.

E qui veniamo al quarto lato del quadrato: l’arbitro e il suo ruolo.
Deve sempre fare il suo dovere senza sbagliare. Meglio ancora se lo fa a nostro favore.
Perché non vederlo anche da una prospettiva diversa? Quale? Quello di atleta con problematiche e dinamiche psicologiche uguali se non superiori a quelle dei giocatori. Atleta poiché deve allenarsi alla stessa stregua di un giocatore. Dinamiche complesse poiché il fatto di cercare di essere sempre a ridosso, vicino all’azione, lo porta indubbiamente a uno stress psico-fisico non indifferente.
Ma, come mi fa capire un mio collega, a differenza dei giocatori che sono schierati nel campo in modo da occuparlo in ogni parte, l’arbitro corre su e giù con difficoltà, oserei dire fisiologiche, nei tempi di recupero dello sforzo fisico dovuto ai continui scatti.

Tutto ciò non viene preso in considerazione. Peggio, manca pure il rispetto verso quei ragazzi che sovente, di sabato, si offrono di arbitrare giocatori (quasi) loro coetanei.

Questo è indubbiamente (con quello dei giocatori) il lato più a rischio del quadrato.
Il risultato: arbitri che perdono il gusto dell’attività sportiva e giocatori, giovani, che oltre alle pressioni naturali dell’attività fisica e di tutto quanto ruota attorno al calcio, sono soggetti anche a quelle del “pubblico genitoriale”.

Attività molto interessanti, cito il “fair-play” sul campo, producono effetti positivi sul terreno da gioco. Ma il loro effetto potrebbe essere smorzato, purtroppo, dal lato che paradossalmente dovrebbe essere quello più costruttivo, anche in termini di educazione civica: quello del pubblico (genitoriale).

Speriamo che il quadrato non diventi un triangolo “recintato” …

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Mental Trainer

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